Mete Onlus si unisce all’appello della Comunità Internazionale per un immediato “Cessate il Fuoco”.
Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio Putin ha annunciato “un’operazione speciale” in territorio ucraino per “smilitarizzare il Paese” e “proteggere il Donbass”. Le radici di questa decisione affondano molto indietro nel tempo. Ma i motivi che hanno spinto il leader russo ad agire non sono solo storici.
La Russia considera l’Ucraina come parte naturale della sua sfera di influenza e va tenuto presente che molti ucraini sono di madrelingua russa, nati quando il Paese faceva parte dell’Unione Sovietica prima di ottenere l’indipendenza nel 1991. La crisi a cui si è arrivati oggi trova un passaggio importante nel 2014 quando, dopo le proteste, venne cacciato il Presidente filorusso Viktor Yanukovych. Al suo posto fu eletto Petro Poroshenko, molto più vicino all’Occidente e non apprezzato da Mosca. Sempre nel 2014, Putin ha risposto annettendo la Crimea e incoraggiando la rivolta dei separatisti filorussi nel Donbass. Dopo il fallimento delle trattative diplomatiche nel 2014, nel 2015 Russia e Ucraina siglano in Bielorussia gli Accordi di Minsk II, mai attuati del tutto. Il trattato prevedeva il cessate il fuoco e il ritiro delle armi pesanti da entrambe le parti, un dialogo su una maggiore autonomia delle repubbliche nel Donbass, grazia e amnistia per i prigionieri di guerra, lo scambio degli ostaggi militari. Da allora le tensioni sono rimaste sempre presenti, senza però esplodere. Fino ad oggi.
Tra i 35 Paesi che si sono astenuti nel voto sulla risoluzione Onu che condanna l’invasione russa dell’Ucraina ci sono la Cina, l’India e Cuba.