Il suo corpo non è più carne, ma involucro di plastica. Un simulacro, una bambola, gioco perverso di aguzzini senza volto. Dentro quella prigione vive un’anima capace di sentire ogni stilla di dolore. Sente che persino la natura, spesso suo unico sollievo, le è ostile.
Spine di cactus le lacerano la pelle, lacci e radici la intrappolano in un abbraccio mortale.
Anni di prigionia. La bambola senza dignità usata e abusata come un giocattolo rotto. Dentro quella strana bara un fuoco tenue continua ad ardere. Il sangue che sgorga dalle ferite, bruno e denso tinge di rosso la terra arida ai suoi piedi; gocce che diventano fiori, semi che preparano il terreno per la rinascita.
La natura nei miei quadri spesso rappresenta la via di uscita, la speranza. Nel caso di Bambola, una delle Opere a me più care e significative (quadro premiato alla Biennale Internazionale d’Arte a Nemi per il tema trattato ben rappresentato dall’arte insieme ad Ossessione) persino le piante sembrano essere nemiche. Piante grasse e spinose che diventano mani protese e che toccano, pungono, feriscono.
La donna è spersonalizzata a tal punto da sembrare una bambola. La sofferenza è palese e la sua pelle sanguina.
Eppure le gocce di sangue che sgorgano diventano fiori a voler significare una possibilità di salvezza.
L’arte è uno specchio della società, ma anche un potente strumento di cambiamento. Nel futuro, la parità di genere sarà definita dalla capacità di dare voce a tutte le identità, celebrare le diversità e sfidare ogni stereotipo.
